Ci eravamo ripromessi di raccontarvi, una ad una, tutte le storie di vita degli ospiti di “Villa Angelina”, la comunità alloggio per persone con problematiche psico-sociali per adulti di Sora, gestita dal Consorzio Intesa.
Oggi, con il pudore e la stretta al cuore di chi si accinge a raccontare un altro vissuto molto tormentato, vi porteremo una storia tutta al maschile. Il protagonista lo chiameremo il “Gigante Buono”. “Gigante” per le sue grandi dimensioni fisiche. Ma anche perché fin da bambino questo uomo ha sognato tanto, e l’uomo che sogna è un gigante che divora le stelle. E “Buono”, come il pane che lo ha nutrito e lo ha fatto diventare grande. Nutrito a pane, sì. Ma anche poco affetto.
Il “Gigante Buono” ci racconta la sua storia. Quando ci accoglie a Villa Angelina, ci invita ad entrare nella sua stanza. Da dove cominciare? Chiedi alla polvere. La polvere sa tutto, copre i ricordi. Il nostro amico apre i suoi cassetti e, fiero, ci mostra le sue foto di gioventù. “Da quando hai visto quelle foto, ti incanti a guardarle. Sembra felice, molto felice ed è giovane, come si addice agli eroi. Bello non potresti dirlo ma neppure negarlo. E comunque non appare eroico per nulla. Colpa delle risate che chiudono i suoi occhi e mettono a nudo i denti, un riso non fotogenico ma schietto da renderlo stupendo”. È fiero il gigante buono di mostrarsi nel vigore della sua gioventù. Poi cominciano a fuoriuscire le parole. E’ stato un gran lavoratore, mostra con orgoglio il suo “libretto del lavoro”. Il “Gigante Buono” è molto credente, la fede è la sua ragione. Apre diverse scatole piene d’immagini sacre che riecheggiano anche appese alle pareti, ovunque nella stanza. Tra i suoi sogni di bambino, tale era la sua fede, custodiva quello di prendere i voti e farsi prete. Ma. Parafrasando i versi di un testo di una canzone del cantautore Max Gazzé, il “Gigante Buono” viveva in una realtà familiare difficile di chi è: “chino su un lungo e familiar bicchier di vino partito per un viaggio amico e arzillo, già brillo”. Così, quando il “Gigante Buono” esprimeva il suo sogno, veniva disconosciuto.
Un’infanzia negata. Poi la giovinezza, il duro e onesto lavoro, le esperienze negative. L’assoluzione: sempre.
Il “Gigante Buono” ha usato la voce per raccontarsi. “La voce è più che un urlo gigantesco, e ti dice che la vita è una cosa immensa e solo quando glie l’hai sentito dire sai veramente cosa fare per continuare a vivere”.